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domenica 20 dicembre 2009

Speranza e rassegnazione

Di Fabio Romiti
La rassegnazione, dice Romano Prodi (Il Messaggero, 29/11/2009), è un sentimento che non porta a nulla perché impedisce di scorgere la realtà e le forze positive che pur esistono anche nella nostra società.
Ha ragione da vendere il professore, ma i segnali che circondano la nostra quotidianità dicono esattamente il contrario e giustificano, almeno in parte, questo “sentire” comune.
Qualche ragione ci sarà se l’Italia è al 49° posto per competitività, se il 44% dei padri architetti ha un figlio laureato in architettura e lo stesso accade per avvocati e farmacisti.
L’avrà qualche problema un Paese che prova a mettere nero su bianco con i sindacati la pratica dei “passaggi generazionali interni”, dove il padre lascia il posto al proprio figlio come accade alla Banca di Credito Cooperativo di Roma, alla Popolare di Milano, all’Enel, alle Poste e in centinaia di altre attività produttive (Il Mondo, 11/12/2009).
Qualche “dubbio” sorgerà spontaneo in una società ove la raccomandazione è considerata prassi consolidata e dirigenti pubblici, presidenti delle municipalizzate, rettori universitari, dirigenti sanitari e persino i primari degli ospedali sono scelti per appartenenza politica.
Avrà pur qualche ragione, almeno nell’intento provocatorio, il direttore generale della Luiss, Pier Luigi Celli, quando suggerisce al proprio figlio di andarsene dall’Italia a fronte di una “emorragia” continua di cervelli.
Siamo d’accordo, la rassegnazione non porta a nulla, ma come spiegarlo al precario, al ricercatore licenziato, all’operaio in cassa integrazione.
Quando intere generazioni di farmacisti, avvocati, architetti, ingegneri sentono “l’inutilità” dei propri studi, dei propri sacrifici e di quelli della propria famiglia perché il peso degli interessi corporativi li ha confinati ai margini della professione, allora è facile che la rassegnazione si faccia largo, che la speranza che qualcosa cambi venga meno.
Qualcuno, il Censis, dice che siamo una società di “replicanti”, senza illusioni, continuamente ripiegati su noi stessi, in “apnea”.
Il più grosso errore che si può fare è quello di sottovalutare questo sentimento comune, esso è assai più radicato di quanto si creda ed è forse la ragione profonda del perché buona parte dei cittadini italiani ha una visione pessimistica del proprio futuro.
Non c’è speranza in queste persone, o almeno non ve n’é la percezione.
Manca un disegno in grado di ridare fiducia, manca un progetto complessivo di società aperta alle capacità, una società che ponga tutti i cittadini nelle condizioni di cogliere qualsiasi opportunità i propri meriti e le proprie conoscenze consentano loro.
La maggioranza degli italiani è stanca di tutto ciò, è stanca del peso di lobby e corporazioni, è stanca del peso che gli interessi particolari hanno su quelli generali ed aspetta da tempo qualcuno che gli dica: questo è il nostro progetto di riforma della società, questo è il modo con cui intendiamo ridare speranza al Paese.
Non slogan, non parole d’ordine, ma obiettivi tangibili, facilmente verificabili, senza mediazioni al ribasso, senza tentennamenti dell’ultima ora.
E’ bene saperlo, i cambiamenti profondi necessitano anche di modifiche radicali, di rinunce e di scelte che immancabilmente possono creare divisioni.
C’è un prezzo da pagare e ci vuole coraggio. Coraggio nel concepire i progetti di riforma e coraggio nel dire chiaramente, una volta definita la linea, che chi non la condivide è fuori.
I referenti dei partiti non sono gli eletti, ma gli elettori.
Sono loro che attraverso il voto, determinano la condivisione delle scelte, sono loro a giudicare se la politica perseguita è quella giusta.
Non c’è solo un’onda là fuori, c’è una “marea” di persone che aspettano il proprio riscatto e chiedono di rimettere in moto quell’ascensore sociale fuori uso da troppo tempo.
Queste persone vogliono tornare ad avere speranza. Basta dare loro un motivo per averla.

mercoledì 14 ottobre 2009

Perchè è caduto l'oblio sulle liberalizzazioni?

Articolo pubblicato da MF martedì 13 ottobre 2009 a firma di Antonio Lirosi (ex Mister Prezzi e diretto collaboratore di Pierluigi Bersani durante le liberalizzazioni) co-autore insieme a Enrico Cinotti (giornalista de "Il Salvagente") del libro "L'Assedio"

Perché si parla poco di liberalizzazioni? Sembra che tutti si siano dimenticati sia dei risultati e delle incompiute dell’azione del Governo Prodi, sia dell’attuale esigenza di incrementare la concorrenza nei servizi. Eppure fino a qualche anno fa ogni giorno Confindustria, economisti ed editorialisti invocavano a gran voce le liberalizzazioni. Insomma per i portatori di interessi organizzati e per la politica, compreso il centro-sinistra che potrebbe rivendicare almeno il merito di quel che si è fatto finora, questo argomento non sembra più importante. Eppure il nostro Paese avrebbe bisogno di proseguire la svolta avviata dalle lenzuolate di Bersani che riuscì, con una risicata maggioranza, a far diventare legge dello Stato una trentina di disposizioni volte a ridurre monopoli, privilegi corporativi e vessazioni. Così come oggi ci sarebbe ancora bisogno di contribuire all’equità sociale e di espandere il merito e le opportunità specie ai giovani meno fortunati che non hanno alle spalle una famiglia di professionisti. Questa è una delle questioni che limitano la mobilità sociale, il termine che all’improvviso è piombato nell’attualità del dibattito, forse solo per tattica o per un’esigenza di aggiornamento del lessico politico, visto che le proposte di legge sul tema delle professioni vanno tutte in direzione opposta. Sono più di dieci quelle all’esame della Commissione Giustizia ed è indicativo che, dopo oltre settanta anni dalla nascita dell’attuale impianto normativo, sia ancora la “Giustizia” ad occuparsene in Parlamento e nel Governo. Il Paese aspetta da molti anni una riforma in chiave liberale degli ordini professionali nel senso di favorire l’accesso alla professione delle nuove generazioni, di rendere dignitoso e abilitante il tirocinio, di assicurare trasparenza ed efficacia all’azione di vigilanza degli Ordini, il cui ruolo dovrebbe essere orientato agli interessi generali. Al Senato poi le lancette dell’orologio hanno ripreso sul serio a girare all’indietro per quanto attiene la riforma della professione forense, come ha puntualmente denunciato l’Antitrust. Si vuole chiudere il recinto: ripristino della tariffe obbligatorie, nuove esclusive, barriera di accesso più elevate, uso limitato della pubblicità. Questa deriva di stampo corporativo si è messa in moto perché è successo che giovani avvocati (forse sarebbe più appropriato parlare di avvocati non affermati), da quando sono entrate a regime le norme del 2006, riescono ad ottenere da grandi committenti incarichi di lavoro grazie al fatto che possono offrire tariffe scontate e usano la pubblicità per farsi conoscere. Non poche cose sono cambiate con quella stagione di liberalizzazioni che sembravano impossibili a realizzarsi. Ne “L’Assedio”, oltre al backstage delle due lenzuolate di Bersani (la terza si arenò in Parlamento per la crisi di quella maggioranza di governo), viene fornito un aggiornamento sullo stato dell’arte e sui risparmi conseguiti per i consumatori. Ci riferisce ai 2 miliardi che i titolari delle schede telefoniche hanno recuperato con l’eliminazione delle spese di ricarica; alla scomparsa delle penali nei mutui, che probabilmente ha incrementato il numero delle famiglie che hanno estinto il mutuo nel moneto in cui la rata era diventata insostenibile (nel 2008 sono stati circa 480.000 i mutuatari che hanno finito di pagare il mutuo ottenendo la cancellazione dell’ipoteca senza bisogno di rivolgersi ad un notaio); agli oltre 2 milioni di correntisti che ogni anno cambiano banca senza essere costrette a versare l’obolo delle commissioni fisse di chiusura. Anche la portabilità dei mutui, dopo tante resistenze, ha prodotto risultati nel corso degli ultimi dodici mesi: secondo l’ABI, sono stati 36.000 i mutui trasferiti (ogni giorno si concludono circa 90 operazioni di portabilità). E cambiando settore, parlando del commercio, si può notare l’apertura di nuovi forni, molto spesso all’interno di esercizi della grande distribuzione, dopo la liberalizzazione delle licenze di panificazione, così come sono diventate più frequenti e massicce, specie in questa lunga fase di crisi dei consumi, le vendite promozionali a seguito della piena libertà nel praticare sconti concessa a negozi e supermercati. Allora perché offuscare o non ricordare a sufficienza tutto questo? Perché non riprendere il processo delle liberalizzazioni che invece dovrebbe essere un cantiere sempre aperto? Per motivi politici, per pressioni corporative o perché il fronte del consenso dei potenziali beneficiari non è sufficientemente rappresentato nei partiti? E se si fa passare il messaggio che tutte le liberalizzazioni stanno per essere seppellite, si offre anche un’eccezionale arma mediatica alle lobby che trovano terreno fertile per i loro intendimenti. Così facendo si alimenta pure il luogo comune che in Italia nulla può cambiare. Certo l’opinione pubblica è scoraggiata perché si accorge sia delle resistenze al cambiamento, sia dell’azione lobbistica che trova sponda in alcuni personaggi politici. Per esempio, nei mesi scorsi si è tentato di cancellare l’esperienza delle tremila parafarmacie nate dopo la liberalizzazione dei medicinali da banco e che finora ha eroso soltanto il 2% del monopolio detenuto dalle farmacie convenzionate con il SSN. Quest’ultime, dopo un recente decreto del Governo, vedono espandere la loro attività nel campo sanitario e diagnostico, mentre dall’altro lato il processo di apertura del mercato non si consolida mettendo in concorrenza anche la vendita degli altri farmaci che i consumatori pagano di tasca propria. Al momento l’unico tentativo riuscito di rivedere le norme Bersani riguarda il ripristino delle polizze pluriennali contenuto nella legge n. 99/2009. Infine l’azione del Governo ha finora prodotto due interventi di liberalizzazione che erano rimasti incompiuti nella passata legislatura: servizi pubblici locali e distribuzione dei carburanti. Al momento però sono rimasti solo sulla carta. Il primo perché la versione legislativa approvata con la manovra estiva del 2008 si è rilevata non incisiva, tanto che il Governo ha provveduto a riscriverla interamente con una nuova disposizione inserita nel decreto-legge c.d. salva infrazione. Il secondo perché le disposizioni varate per superare la procedura di infrazione comunitaria lasciano alle regioni la facoltà di subordinare l’apertura di nuovi impianti di distribuzione di carburanti alla contestuale fornitura di gpl e metano. Insomma l’agenda rimane sostanzialmente scarna.

domenica 20 settembre 2009

Conflitto d’interessi

Nei giorni scorsi abbiamo appreso dalle dichiarazioni del Pubblico Ministero di Bari che il V. Presidente della Fofi (nonché ex Pres. Federfarma Bari) D’Ambrosio Lettieri non è a tutt’oggi tra gli indagati nell’indagine sulla malasanità in Puglia. Ce ne rallegriamo, ma, partendo proprio dalle parole dello stesso Procuratore Laudati, non possiamo fare a meno di fare alcune riflessioni. A detto Laudati (Leggo, pag. 20, 17 settembre 2009): “io mi occupo di problemi di responsabilità penale, non d’incompatibilità o altro, che non sono di mia competenza”.Sorge immediatamente una domanda: di chi è la competenza? Per rispondere a questa domanda bisogna fare un passo indietro quando a fine luglio, primi d’agosto, parte l’indagine. Immediatamente sui media locali e nazionali D’Ambrosio Lettieri è in prima fila nell’accostare l’inchiesta della magistratura alla legge regionale (n° 26 del 9 agosto 2006) con cui la regione Puglia abbassava il quorum necessario per aprire una farmacia nei comuni al di sotto dei 12.500 abitanti. Naturalmente non c’entrava nulla, ma per “spazzare” via tale tentativo abbiamo dovuto addirittura convocare una conferenza stampa (vedi video) per far sapere alla pubblica opinione che la legge non aveva nessun legame con la sanatoria precedentemente varata ed ispirata da un provvedimento nazionale voluto dalla stessa parte politica cui appartiene il senatore Pdl.Ora, l’ex Presidente Federfarma Bari, nonché relatore di maggioranza del ddl Gasparri/Tomassini (et altri), è tra i componenti della Commissione d’inchiesta che ha incontrato i magistrati della procura di Bari. In quell’occasione ha posto domande ai giudici e dichiarato alla stampa: “Siamo di fronte ad un sistema che probabilmente ha punti gravissimi di criticità” (Repubblica, Bari, 16 settembre 2009).Peccato che il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri abbia avuto un’amnesia e non ricordi (momentaneamente) di essere socio al 50% con Vitantonio Roca, uno degli indagati principali dell’inchiesta del pm Desirèe Digeronimo. La società riguarda, tra l’altro, proprio uno degli oggetti dell’inchiesta e cioè la residenza per anziani di Andria Madonna della Pace.Non accetta lezioni di moralità Lettieri e dice “Non mi risulta che essere socio di una srl possa ritenersi un reato”.Siamo d’accordo con lui, esserne socio non è un reato, ma forse..., e sottolineiamo il forse, un po’ di conflitto d’interessi esisterà nel far parte di una Commissione d’inchiesta parlamentare che deve far luce su una società di cui detengo il 50% della proprietà e il cui direttore amministrativo è indagato. Comprendiamo che tali “premure” fanno parte di un’epoca politica ormai passata di moda, ma c’è un limite a tutto.Lo stesso conflitto d’interessi per cui il nostro D’Ambrosio Lettieri, strenuo oppositore delle liberalizzazioni volute da Bersani, oggi è relatore alla Commissione Igiene e Sanità di un progetto che mira, nella sostanza, a ristabilire il monopolio della distribuzione del farmaco in farmacia facendo chiudere le parafarmacie.E allora torniamo a chiedere di chi è la competenza? Se non è della magistratura che non può impedire ad un senatore della Repubblica di rivolgere domande su una inchiesta che anche se indirettamente lo rigarda, non è della politica che il problema non se lo pone, è forse della società civile?

mercoledì 16 settembre 2009

Mali italiani: il paese degli affari di famiglia

di Michele Ainis -Sole 24ore - 16 settembre 2009
Secondo una rilevazione Censis (2006), il 61% degli italiani considera i soldi di famiglia e le conoscenze di papà ben più importanti del merito se vuoi farti largo nella vita. Come dargli torto? In Italia il nepotismo è un fatto, non un'opinione. Il X rapporto Almalaurea (2008) attesta che il 44% degli architetti italiani ha il padre architetto, il 42% degli avvocati è figlio d'avvocati, il 39% degli ingegneri genera figli ingegneri, e via elencando. Altrove verrebbe giudicata una sciagura, una malapianta da estirpare. Qui no, e anzi c'è chi se ne vanta.In un'audizione alla Camera svolta il 29 marzo 2007, il presidente del Consiglio nazionale del notariato - Paolo Piccoli - ha osservato con orgoglio che soltanto il 17,5% dei notai italiani è figlio di notai. Soltanto? Questa cifra significa che oltre un posto su sei messo a concorso è un affare di famiglia, tanto varrebbe giocarselo in una riunione di parenti. Come peraltro accade nelle imprese familiari: passano di padre in figlio 66mila aziende l'anno, e infatti esistono ben due sindacati delle aziende di famiglia (l'Aidaf e l'Apaf), nonché un sito internet (www.familybusinesssmart.com) per gli addetti ai lavori, dove si dichiara con orgoglio che fra le imprese familiari più longeve al mondo 5 su 10 parlano italiano.D'altronde alle nostre latitudini il nepotismo viene benedetto con tutti i crismi del diritto. È il caso, rispettivamente, dei farmacisti e dei bancari. Per i primi la legge n. 362 del 1991 aveva inventato la figura del farmacista mortis causa, assegnando al coniuge o all'erede, anche se privo delle qualifiche richieste, il diritto di gestione del negozio; nel 2006 un'altra legge ha poi temperato questa regola, ma senza reciderla del tutto. Quanto ai bancari, basta consultare l'articolo 15 del regolamento del personale della Banca d'Italia, che riserva un posto al sole per figliolanza e vedove degli ex dipendenti.Ma dopotutto c'è voluta una sentenza della Cassazione (18 marzo 2008, n. 12.131) per stabilire che il nepotismo è reato; la Corte d'appello di Napoli era stata di parere opposto, anche se nella fattispecie due assessori e un sindaco avevano favorito una cooperativa che in cambio avrebbe dovuto assumere i loro più stretti congiunti.Nella nostra bandiera nazionale, diceva Leo Longanesi, dovremmo metterci una scritta: «Tengo famiglia». È la bandiera cui rendono omaggio gli accademici (117 professori indagati presso le Procure di varie città italiane, alla data del 2008, per favori impropri ai loro familiari) non meno dei politici. Fra gli episodi più recenti: l'assunzione per chiamata diretta alla Regione Siciliana della figlia del nuovo assessore al personale, Giovanni Iarda, che fin lì si era distinto per la sua campagna all'arma bianca contro i fannulloni (settembre 2008). Il pieno di sorelle e di cognati a Sviluppo Italia in Calabria, 34 assunti senza concorso, ben pagati e ovviamente indisturbati, finché un quotidiano locale non ha scoperchiato gli altarini (luglio 2007). L'iradiddio scatenata dal ministro Bossi dopo la bocciatura del figliolo Renzo all'esame di maturità, con tanto d'accuse ai docenti meridionali che s'accaniscono contro l'intellettualità padana, finché la sua collega di governo Gelmini non ha mandato gli ispettori a rovistare fra i cassetti della commissione d'esame (ottobre 2008).Più o meno negli stessi giorni, a Roma, cadeva l'appuntamento annuale con il Festival internazionale del film. Una rassegna del cinema d'autore? No, l'elenco del telefono dei figli d'autore. Inaugurazione affidata al film L'uomo che ama di Maria Sole Tognazzi, figlia del grande Ugo Tognazzi, nonché sorella del regista Ricky e dell'attore Gianmarco. A seguire un dvd firmato da Christian De Sica, figlio di Vittorio. Poi i Vanzina, Enrico sceneggiatore e Carlo regista, ambedue figli di Steno. L'altra coppia di figli registi (Marco e Claudio) del regista Dino Risi. Fino ai Manfredi, al figlio di Alida Valli, agli altri innumerevoli campioni del familismo applicato allo spettacolo. D'altronde in Rai va pure peggio: nel sito web di Beppe Grillo chiunque può leggere una lenzuolata di fratelli, nipoti, zii e cugini di qualche illustre personaggio, fra gli 11mila dipendenti del gruppo (Conigliera Rai, 8 settembre 2006).Da qui una questione di giustizia, d'equità sociale. E la giustizia reclama a propria volta interventi correttivi, allo scopo di riequilibrare le posizioni ai nastri di partenza della corsa. Come? Rovesciando l'idea che il presidente Kennedy applicò nell'America dei primi anni 60, una "discriminazione alla rovescia" per garantire l'égalité de chances ai neri, alle donne, a tutte le minoranze svantaggiate. Per esempio: in quest'azienda si diventa dirigenti maturando almeno 10 anni di servizio, ma se sei nero te ne bastano 5. L'idea di Kennedy si tradusse nella politica delle azioni positive (affirmative actions), che concessero un metro di vantaggio a quanti provenivano da un gruppo discriminato; e allora forgiamo altrettante azioni negative, facendo partire dietro a tutti gli altri quanti verranno poi sospinti nella corsa dalle proprie relazioni familiari.In breve: sei figlio di notai e partecipi a un concorso da notaio? Nel tuo caso per guadagnarti il sigillo notarile ti serve un punteggio più elevato. Forse con questa soluzione renderemo finalmente effettiva la meritocrazia, potremo darle fiato e gambe.D'altronde in tutto il mondo non mancano le ipotesi in cui la provenienza familiare si traduce in un divieto d'assunzione. Una fra le maggiori società internazionali di consulenza, la McKinsey, sbarra l'accesso ai figli dei propri partner, anche se hanno in tasca una laurea con 110 e lode. In India i magistrati che hanno un parente avvocato vengono immediatamente trasferiti ad altro distretto giudiziario. Newropeans, un movimento politico transeuropeo che ha debuttato alle elezioni del 2009 per il rinnovo del parlamento di Strasburgo, proibisce espressamente ai propri deputati d'impiegare congiunti nello staff. Nell'agosto 2008 il governatore del Rhode Island, Donald Carcieri, è finito sotto inchiesta per aver assunto la nipote: in quel minuscolo stato americano un regolamento antinepotismo del 1991 proibisce infatti a ogni autorità pubblica d'ospitare nello stesso ufficio un familiare.
Ma negli Usa questa non è affatto un'eccezione: norme ancora più restrittive vengono sancite nel paragrafo 1.119 del Code of Governmental Ethics della Louisiana, così come in vari statuti comunali (dal 2008, per esempio, a Stratford e a Oakland, dove il divieto s'estende fino ai cugini di secondo grado, e comprende inoltre fidanzati e fidanzate).Imitare pari pari questi esempi ci condurrebbe tuttavia da un'ingiustizia all'altra. Non si può proibire alla figlia di un magistrato d'intraprendere la carriera giudiziaria, o al figlio di un cattedratico di puntare a sua volta alla cattedra. Magari superando il genitore, come succede qualche volta. Se l'azione negativa si traduce in un divieto insormontabile, va incontro alle medesime obiezioni cui s'espongono le quote, le riserve rigide di posti. Meglio, molto meglio un premio, o nel caso specifico una penalità. Se poi il giocatore ha buona stoffa, non gli sarà difficile sovvertire il punteggio in suo favore.

Parafarmacie, sciopero della fame contro i tentativi di cancellare le liberalizzazioni – Solidarietà dal Movimento Nazionale Liberi Farmacisti

ROMA – Il Movimento Nazionale Liberi Farmacisti ”esprime piena solidarieta’ alla Signora Elisa Cosimo, madre del dr. Lacroce titolare dell’omonima parafarmacia a Soverato (CZ) che ha deciso in piena autonomia di avviare da oggi uno sciopero della fame ad oltranza contro i tentativi in parlamento di cancellare le liberalizzazioni”.
”Alla vigilia della riapertura del Parlamento, la protesta della signora Cosimo – scrive il MNLF in una nota – assume particolare rilevanza proprio in riferimento al ddl Gasparri/Tomassini che si pone come principale obiettivo la chiusura delle parafarmacie. Una vera e propria controriforma che umilia la capacita’ di scelta del cittadino-consumatore, privandolo di qualsiasi forma di concorrenza.
Questo – avverte il Movimento dei Liberi Farmacisti – nonostante la maggioranza degli italiani abbia apprezzato le liberalizzazioni sui farmaci d’automedicazione e sia contraria al self-service del farmaco con la conseguente eliminazione della presenza del farmacista nei luoghi di dispensazione.
La signora Cosimo non difende solo gli investimenti fatti dalla Sua famiglia e il futuro professionale del figlio, ma difende anche gli interessi dei consumatori che si vedrebbero privati di uno strumento importante per ottenere sconti nel prezzo del farmaco acquistato e maggiori servizi. Riduzione dei prezzi che, lo ricordiamo, prima della riforma Bersani erano impossibili nelle farmacie”.
Di qui la richiesta del Movimento Nazionale Liberi Farmacisti al Governo per ”l’immediato ritiro del ddl Gasparri/Tomassini e dell’emendamento Saltamartini perche’ contrari agli interessi economici generali (chiusura di 3000 aziende – perdita di oltre 5000 posti di lavoro) ed anticostituzionale ove limita pesantemente la liberta’ d’impresa”.
(Asca)

domenica 13 settembre 2009

Corte di Giustizia UE

Il 30 settembre le conclusioni dell'Avvocato generale
Posticipate al 30 settembre le conclusioni dell'avvocato generale Luiss Miguel Poiares Maduro sulla pronuncia della Corte di Giustizia rispetto alla richiesta del Tribunale delle Asturie (ES) di parere nella causa intentata da José Manuel Blanco Pérez e María del Pilar Chao Gómez contro la pianificazione spagnola delle farmacie. (cause riunite C-570/07 e C-571/07). Indiscrezioni parlano di una posticipazione dettata dal rinvio pregiudiziale su argomento affine del TAR Piemonte rispetto alla questione della distanza tra le farmacie. Altre della necessità di approfondire la tematica e quindi il bisogno di ulteriore tempo. Di certo c'è il fatto che la questione sta dividendo l'Europa della farmacia tra coloro che sperano in una apertura del settore e colore che la temono. Per entrambi c'è la consapevolezza che una sentenza contraria alle norme spagnole (simili a quelle italiane con numero predeterminato e delimitazione geografica) avrà immediate ricadute nelle regolamentazione di tutti i Paesi europei.

Non uccidere le parafarmacie, non uccidere le liberalizzazioni

Invito a firmare la petizione promossa dal MNLF ed indirizzata al Presidente della Repubblica, a quello del Consiglio e a tutti i componenti il Consiglio dei Ministri.

TESTO: Dopo tre anni dalla liberalizzazione della vendita dei farmaci d’automedicazione (SOP e OTC) circa tremila nuove aziende sono state aperte, cinquemila lavoratori hanno trovato impiego e il 67% degli italiani hanno utilizzato questi esercizi ed acquistato farmaci con sconti sino al 22% del prezzo (fonte Antitrust).Inoltre, nelle parafarmacia il cittadino ha trovato sempre la professionalità del farmacista, che, al pari dei colleghi che operano nelle farmacie, è un professionista laureato ed abilitato alla cui presenza l’84% degli italiani non rinuncia (indagine Eurisko).
La vendita di farmaci “da banco” fuori dalle farmacie ha portato nuova concorrenza nel settore del farmaco, concorrenza di cui hanno beneficiato anche le farmacie che si sono attrezzate con nuovi servizi da offrire alla propria clientela.
Migliaia di giovani professionisti hanno finalmente trovato nuovi sbocchi professionali e la possibilità d’intraprendere liberamente la propria professione.
In questo quadro quali sono i motivi per ridimensionare, o peggio, far chiudere quest’attività?
A parere dei firmatari non c’è nessun motivo oggettivo se non il desiderio di azzerare uno strumento legislativo che consente il confronto delle capacità ed allarga i livelli di concorrenza.In un contesto economico “delicato” come quello che vive il nostro Paese i processi di liberalizzazione andrebbero incentivati e non mortificati, gli spazi di tutela degli interessi generali allargati, mentre quelli che salvaguardano monopoli o rendite di posizione fortemente ridimensionati.
E’ per tali motivi che i sottoscrittori della presente fanno appello al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e ai Ministri per l’assunzione di una forte posizione contraria ai processi legislativi in corso finalizzati alla chiusura delle parafarmacie e più in generale al ridimensionamento dei processi di liberalizzazione dell’economia italiana.
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