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martedì 25 maggio 2010

Quei tagli sull'agenda della competitività

di Giorgio Barba Navaretti
pubblicato sul Sole 24ore

L'equilibrio futuro dell'area dell'euro dipenderà in buona misura dal commercio estero. Solo la capacità diffusa di produrre ed esportare beni e servizi può determinare la coesione di lungo periodo dei paesi membri. Per questo motivo il patto di stabilità non può limitarsi a rimettere i conti in ordine, a estendere la Schuldenbremse tedesca, il vincolo costituzionale ai deficit pubblici, ma deve aprire a riforme strutturali che rafforzino la competitività complessiva dell'Unione e il rilancio della crescita della regione.

Parlare di mercato del lavoro, liberalizzazioni delle professioni, investimenti in capitale umano, riforma della burocrazia e supporto alle imprese mentre Atene brucia e l'euro scivola potrebbe apparire paradossale, ma così non è.
La radice del progetto dell'euro non è solo monetaria ma affonda nell'economia reale, è complementare al mercato unico: ridurre le barriere agli scambi nell'area. E la crisi dell'euro deriva da una diversa capacità competitiva dei paesi membri, non solo da una gestione malaccorta dei conti pubblici. Grecia e a seguire Portogallo e Spagna hanno deficit molto elevati dei conti con l'estero. L'aggiustamento di questi squilibri non si risolve solo rilanciando la domanda tedesca (cosa che comunque Berlino ha poca intenzione di fare), ma rafforzando la competitività dei paesi in deficit. Le misure fiscali varate fin qui lo fanno indirettamente attraverso la deflazione. Peccato che l'Europa abbia assolutamente bisogno di crescere. Le riforme strutturali per il rafforzamento della competitività sono dunque una via alternativa (o in alcuni casi complementare) alla mortificante compressione di prezzi e salari.
Ci sono almeno due buone ragioni per consolidare la dimensione europea di queste politiche. La prima è evitare di pestarsi i piedi. All'interno dell'area dell'euro, principale mercato di destinazione di tutti i paesi membri, se tutti non crescono più rapidamente, le esportazioni dell'uno vanno a scapito di quelle degli altri. La crescita delle esportazioni delle nazioni in deficit si tradurrebbe in un gioco a somma zero, spinto da politiche nazionali di tipo beggar-my-neighbour, ossia dannose per gli altri paesi.

La dimensione nazionale delle politiche diventa soprattutto rilevante nel momento in cui ci sono poche risorse, la crescita è scarsa e nonostante la necessità di exit strategy fiscali, i soldi del contribuente sono necessari per sostenere il sistema produttivo nazionale. La ricerca di nuova competitività post-crisi ha riportato alla ribalta l'intervento dello stato. L'esempio migliore di tentativo di rafforzare il sistema produttivo in chiave strettamente nazionale è la Francia, che ha varato una politica industriale d'indiscutibile grandeur, con obiettivi da dirigismo dei tempi perduti: un aumento del 25% della produzione industriale entro il 2015, una crescita di almeno due punti percentuali della quota nel valore aggiunto industriale europeo, il ritorno a una bilancia commerciale positiva, sempre nel 2015.

Certo, ogni nazione deve fare i conti con il saldo della propria bilancia dei pagamenti. Il dirigismo francese è la controparte da paese in deficit del virtuosismo fiscale da paese in surplus della Germania. Strategie opposte, entrambe non cooperative: appunto, beggar-my-neighbour, soprattutto se la domanda non riparte.
La seconda ragione per un coordinamento delle politiche strutturali è il mercato unico. Come ben messo in evidenza dal rapporto Monti, questo è un immenso patrimonio del progetto europeo, che ha ancora ampio spazio per aumentare.

Le imprese crescono in primo luogo sul mercato domestico e poi su quello dell'export. Il mercato unico è appunto un immenso mercato simil-domestico. Ma le barriere tra paesi, soprattutto nel settore dei servizi e nei sistemi di regole, dal mercato del lavoro a quello finanziario, ancora rallentano gli scambi. Il coordinamento delle riforme strutturali deve favorire l'abbattimento di queste barriere.
Politicamente è una strada ardua. Integrazione e mercato sono oggi parole impopolari in qualunque agenda elettorale. Ma perseguire solo il rigore fiscale e la deflazione è una ricetta sicura per allontanare definitivamente gli elettori dall'Europa.
Il commercio e l'aggiustamento degli squilibri dei conti con l'estero sarà un gioco a somma zero solo se l'economia non cresce. Rafforzare la competitività del Vecchio continente coordinando le politiche strutturali è l'unica via per riprendere ad allargare la torta per tutti.

lunedì 10 maggio 2010

Categoria spaccata, basta con i privilegi

Lo speciale del Sole 24ore Sanità dedicato a Cosmofarma 2010 pubblica un intervento del Presidente del MNLF

In Italia le “arti” o corporazioni nacquero agli inizi del XII secolo, in pieno medioevo. Divise in “arti maggiori” (mercanti, banchieri) e “arti minori” (artigiani e commercianti), si suddividevano ulteriormente in tre classi: Maestri, Apprendisti, Garzoni.
La corporazione promuoveva l'interesse dei propri membri proteggendoli dalla concorrenza di altre città e da quella dei professionisti non appartenenti alla corporazione, monopolizzando il commercio, stabilendo orari uniformi per tutte le botteghe che producevano gli stessi manufatti e paghe uguali per i lavoratori che svolgevano la stessa attività.
Malgrado questo ferreo controllo, le corporazioni nel rinascimento erano quasi scomparse, a farle ritornare ci pensò il fascismo che, eliminando di fatto i sindacati, modulò proprio dal medioevo la nuova struttura sociale del lavoro.
Nell’anno domini 2010, in piena crisi, c’è chi pensa di rilanciare l’economia ritornando al XII secolo.
E’ di questo che ha bisogno il Paese, è di questo che ha bisogno la nostra categoria?
Domanda che è bene porre con maggiore frequenza, che gli stessi vertici della categoria abbiano in mente quando operano scelte che riguardano tutti i farmacisti italiani.
Nei giorni scorsi il Movimento Nazionale Liberi Farmacisti ha guidato una manifestazione a Roma dal titolo: Farmacista alza la testa! L’intento era quello di far sentire la voce di chi ritiene di non essere affatto rappresentato in questo momento. La voce di chi avverte in maniera nitida che si sta lavorando contro e non per lui. La maschera bianca indossata sul volto è il simbolo di questa sensazione d’anonimato davanti alle Istituzioni, sentirsi come dei fantasmi.
Gli esempi sono palesi e molteplici.
Qualcuno ha sentito alzarsi alta e forte la voce contro i licenziamenti degli informatori medico scientifici con la stessa forza con cui si sono difese le farmacie? Noi no.
Qualcuno ha visto affrontare con la dovuta serietà il problema del C.C.N.L. dei dipendenti di farmacia e il relativo spostamento nel comparto sanità così come si è lavorato per ampliare i servizi in farmacia? Noi no.
Qualcuno si è forse accorto di come i farmacisti ospedalieri siano usati strumentalmente un giorno sì e l’altro pure quando serve fare bella figura, per poi accusarli in maniera plateale e, lasciatecelo dire, anche “rozza”, d’essere responsabili di un ipotetico spreco negli ospedali? Noi sì.
Che dire poi del caso delle parafarmacie e dell’aperta opposizione che la FOFI sta facendo alle liberalizzazioni del 2006. E’ forse la Federazione degli Ordini un sindacato? Che la Federfarma si opponga a modifiche contrarie ai propri interessi o cerchi di restaurare quanto perso è assolutamente legittimo. Che lo faccia la FOFI è ampiamente opinabile, se non contrario ai propri doveri istituzionali che sono sempre quelli di rappresentare tutti i farmacisti italiani. I numerosi “giochetti” di dividere chi si oppone a questo stato di cose e al conservatorismo dilagante falliscono miseramente, compresa la storiella della pseudo-sanatoria, alimentata nei corridoi del Senato proprio da chi ora si dichiara fermamente contrario.
E ci si copre di ridicolo pretendendo d’imporre il nome a questi esercizi, empori sono certe farmacie in cui c’è di tutto tranne che il farmaco, come quelli per il dolore acuto.
E’ necessario allora chiedersi a chi giova questo stato continuo di conflittualità, dove si approfondisce di giorno in giorno la spaccatura verticale dei farmacisti italiani. Una spaccatura tra chi gode di tutti i vantaggi e chi viene umiliato costantemente nelle proprie speranze e nei propri sogni.


Vincenzo Devito
Presidente MNLF