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domenica 14 novembre 2010

Il Giornale scopre le corporazioni

Questo articolo è stato scritto dopo la sospensione per tre mesi di Feltri da parte dell'Ordine dei Giornalisti
La domanda è: quanto di strumentale c'è in questo articolo che è condivisibile al 100%?

È ora di finirla con l’Ordine unico
di Carlo Lottieri

Queste strutture professionali devono farsi concorrenza e non possono mettere in discussione unilateralmente il diritto a lavorare. Si tratta di camarille ereditarie, viziate dal nepotismo e per i giornalisti usano il bavaglio

A ben guardare, nell’Italia che settant’anni fa cancellò la Camera dei deputati per sostituirla con quella dei Fasci e delle Corporazioni, gli ordini contavano assai poco. A decidere tutto erano Mussolini e i suoi, e la retorica corporativa era solo il maldestro tentativo di camuffare un regime dittatoriale, fingendo di farne il superamento di capitalismo e socialismo.


Ma quello che nel Ventennio era un progetto, oggi è una realtà, dato che siamo in larga parte prigionieri di apparati (dagli ordini dei notai a quelli dei farmacisti) determinati a difendere le loro rendite parassitarie. Anche se da più parti si ripete la tesi secondo cui saremmo vittime della globalizzazione più selvaggia, nei fatti il Paese è nelle mani di camarille ereditarie: dei figli dei figli, dei nipoti dei nipoti, i quali bloccano la strada a chi vuole lavorare onestamente e, nel caso dell’ordine dei giornalisti, giungono perfino a utilizzare il bavaglio.

Nelle società libere le cose vanno diversamente, dato che la libera iniziativa è tutelata. In una delle più antiche Costituzioni d’America, quella del Maryland, si legge che i monopoli sono «odiosi e contrari ai principi del commercio», ma larga parte della cultura anglosassone è avversa all’idea che qualcuno possa sbarrare la strada a chi vuole intraprendere, scrivere, commerciare, patrocinare e via dicendo.

Ordini e albi devono necessariamente scomparire? Non è detto. È possibile infatti che essi trovino una loro giustificazione, ma senza mettere in discussione il diritto a lavorare. Per avere ordini legittimi, in poche parole, bisogna che essi siano in concorrenza: l’associazione degli avvocati A deve competere con l’associazione degli avvocati B, certificando la qualità dei propri membri di fronte al pubblico. Le strutture corporative e monopoliste della situazione italiana, invece, rappresentano uno scandalo alla luce del sole.

Purtroppo, però, andiamo di male in peggio.

La contro-riforma delle professioni liberali che il governo sta per far approvare si muove nella direzione contraria a quella che andrebbe auspicata e gli argomenti usati da quanti difendono i privilegi di casta sono sempre i medesimi. Ad esempio, ora che si stanno per reintrodurre i minimi tariffari per gli avvocati (a danno della libertà contrattuale, ma anche a scapito degli interessi dei clienti e dei giovani avvocati), la tesi dell’ordine è che questo sia importante a «garanzia della qualità della prestazione professionale». Non ha il minimo senso, ma non fa nulla.

Al ceto dirigente italiano, d’altra parte, la libertà non piace proprio. Basti pensare che nonostante la Costituzione italiana (all’articolo 21, comma 1) dichiari espressamente che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», i vincoli e le limitazioni all’esercizio dell’attività giornalistica imposti dall’ordine dei giornalisti continuano a essere tollerati.

In questo quadro complessivo, aspettiamoci ora che perfino il ritorno della censura trovi i suoi paladini. Ci sarà di sicuro qualcuno pronto a sostenere che chiudere la bocca a Vittorio Feltri, oggi, e a qualche altro, domani, può essere un modo per proteggere la purezza dell’informazione. I liberali hanno sempre pensato che fosse il pluralismo delle voci dissonanti a garantirci al meglio, ma ormai prevale l’idea di una società organizzata dall’alto. Perché a difesa delle corporazioni non ci sono solo le rendite dei notabili di Stato, ma un’intera ideologia che punta a rafforzare il potere.

Non dimentichiamolo: siamo dominati da oligarchie che si ritengono autorizzate a tassarci e regolamentarci a loro parere. Di continuo ci dicono cosa possiamo fare a casa nostra e perfino quando vogliamo costruire una cuccia per il cane dobbiamo chiedere una «concessione». La scuola è nelle loro mani e così la previdenza, la sanità e tantissimi altri settori. In fondo, i capintesta delle corporazioni sono solo un’appendice di questo apparato e non stupiamoci se ogni tanto fanno vittime.


Gli ordini sono organizzazioni di dominio: punto e basta. Ci sarà qualcuno che, dinanzi a una situazione tanto degenerata, troverà la forza per alzare un po' la testa?

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